Colori e neonati

Ho recentemente acquisito una rivista di capi per bambini del 1975. Il tema guida della rivista erano i colori. Perché in Italia in particolare si è arrivati al monopolio di rosa e azzurro?
Due maglioncini da Il Gomitolo di ottobre 1975

Partiamo da un concetto: la predominanza di rosa e azzurro è un fenomeno essenzialmente italiano. Negli altri paesi rosa e azzurro sono occasionalmente usati, ma non sono predominanti. In Francia, per esempio, per i bambini si usano soprattutto colori neutri (bianco, panna, beige, grigio chiaro), magari ravvivati da dettagli di colore vivo o pastello.

Un golfino raglan in beige con rigature rosse e arancio, con scarpine coordinate (sempre da Il Gomitolo di ottobre 1975)

L’abuso di rosa e azzurro è anche un fenomeno relativamente recente. Fino agli anni Ottanta i capi per neonati erano colorati o bianchi con dettagli in colore. Ovviamente, i capi per i più piccoli venivano eseguiti spesso prima della nascita del bambino, e in assenza di ecografie (diventate di uso comune alla fine degli anni Ottanta, se non erro), non era possibile conoscere il sesso del bambino prima della nascita.

C’è anche un fenomeno di marketing. Un capo multicolore è un capo unisex. Un neonato non ha identità di genere e non necessita di abbigliamento genderizzato. Se per un adulto con una forte identità di genere può avere senso scegliere il proprio stile in conseguenza a questa identità, non è così per il bambino. Ovviamente, poi, non è indossare un capo rosa o azzurro che informa la nostra identità di genere. Come scordare la camicia rosa dell’ipermacho Alex Drastico di Antonio Albanese. E come scordare che fino a poco più di un secolo fa i colori femminili per eccellenza erano blu e azzurro (calmi e propri della Madonna), mentre quelli maschili per eccellenza erano il rosso e la sua versione più chiara: il rosa.

Copertina a maglia legaccio con motivi geometrici all’uncinetto applicati, sempre da Il Gomitolo di ottobre 1975

Ma c’è ancora un altro fenomeno. Fino a non molti anni fa i capi erano sempre destinati a essere tramandati. Il golfino veniva usato dalla prima nata per qualche mese, due o tre anni dopo passava al fratello, poi veniva regalato all’amica incinta non si sa se di maschio o femmina. Produrre capi troppo chiaramente genderizzati era controproducente perché ne riduceva l’uso. Oggi viviamo di spreco e consumismo, per cui quest’abitudine di passare i capi usati alle amiche o usarli per tutti i figli (se se ne hanno più di uno) sembra archeologia.

Poi, ok, c’è il fatto che a me rosa e azzurro fanno proprio schifo. (Ma ovviamente è un mio problema.)

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