La vittoria di Di Stefano a Sesto non è da leggersi in diretta continuità con i risultati nazionali del PD e con la gestione Renzi del maggiore partito di governo, è un risultato principalmente legato alla città.

Quindi Sesto è passata di mano. Non mi fa piacere, ma non mi sorprende. Intendiamoci, che Sesto stia per essere amministrata dai peggio arnesi del neofascismo mi fa tutt’altro che paicere (e no, non lo dico a caso, lo dico dopo aver visto chi faceva campagna elettorale per il neosindaco Di Stefano), ma non mi dispiace né mi sorprende che il PD abbia perso. Oggettivamente, che fosse destinato a perdere era chiaro dai risultati del primo turno, in cui Chittò era sì prima, ma con un vantaggio risibile su Di Stefano e con terzo fortissimo Caponi, esponente di una destra solo un po’ più laica e presentabile e che aveva iniziato a fare campagna elettorale tre anni fa.

Ma finché il comune era retto da soggetti “parlati” ma che amministravano più o meno bene tutto sommato io ci stavo anche. Il fatto è che negli ultimi almeno 20 anni gli amministratori locali, ivi compresa l’oscura Monica Chittò, una candidata che 5 anni fa la città nemmeno conosceva e che alle prime sue elezioni vinse senza convincere, hanno messo sul campo o una totale insipienza ed assenza oppure un approccio sicuritario più degno dei loro avversari politici (nominali) della destra. Amministratori che non hanno saputo né capitalizzare su decenni di amministrazione che aveva comunque saputo fare, in anni difficili, non solo argine alle emergenze ma anche innovazione. Un esempio su tutti quello delle scuole, costruite sì in fretta e furia (talvolta puri prefabbricati) per fare fronte a una popolazione scolastica crescente, ma in cui erano stati attivati programmi di prescuola, doposcuola, mense, colazioni a scuola e centri estivi egregi.

In questi almeno 20 anni l’amministrazione ha solo saputo tamponare, affidandosi alla sinecura dell’essere al timone di una città in cui la “sinistra” aveva sempre vinto, disgregando quanto costruito, abbonandosi al paradigma del contenimento delle spese (anche a discapito dei servizi) e rinunciando a qualsiasi moto innovativo. Nel frattempo, la città è cambiata. Finita l’industria pesante negli anni Ottanta, si è affidata a un terziario instabile e all’illusione dell’edilizia, approvando la costruzione di megacondomini di lusso che sono andati invenduti perché troppo costosi e perché la città, con una qualità di vita in netto calo, non era sufficientemente attraente per le famiglie. Contemporeaneamente, appunto la qualità di vita è peggiorata nettamente. Sono diminuiti i servizi, la città è sporca ed è anche sempre meno sicura, e questo non a causa dei molti immigrati (che, anzi, la sera forniscono la città di una popolazione pacifica fatta di famiglie a passeggio nelle ore più fresche), bensì a causa di una microcriminalità in prevalenza italiana fatta di spacciatori e di scippatori. Una carenza di sicurezza in evidente crescita da anni per cause assortite, ma soprattutto per l’assenza di controllo del territorio che non è migliorata con la sciagurata decisione di eliminar eprima le pattuglie notturne e poi il presidio notturino della vigilanza urbana.