Valentina Cosciani, tramite il suo blog, lancia una provocazione, raccontando cosa è per lei la maglia e chiedendoci cosa sia per noi.

Anche io come Valentina sono sono arrivata alla maglia attraverso un periodo (o meglio un paio di periodi) piuttosto complessi. Nel primo di questi periodi la maglia è stata qualcosa che toglieva fardelli alla mente, che la lasciava libera di ragionare con maggiore chiarezza. Nel secondo, ragionare mi era divenuto impossibile a causa di una terapia che stavo facendo, la maglia era quasi più un impaccio che una consolazione.
Questo perché per me la maglia non è muovere le mani, è muovere il cervello. Lavoro a maglia progettando, non tanto eseguendo. Per me il passaggio più affascinante della maglia è quello della progettazione: lo studio delle tecniche, dei filati, delle loro caratteristiche, delle costruzioni è quanto mi motiva. Lascio ben volentieri i ferri in sé, i ferri sono lo strumento ma non sono l’oggetto del mio interesse.

Il mio è un entusiasmo pedante, un po’ secchionesco. Mi piace capire come un filato interagisce con un determinato punto, non strettamente lavorarlo. Non so contare il numero di lavori che non sono mai andati in porto, pur essendo delle buone idee, solo perché la loro realizzazione mi era oltremodo tediosa. La maglia per me è faccenda di ricerca tecnica, insomma. Sì, sono pedante.