Il tema dell’originalità è interessante, in termini generali e nello specifico della maglia.

Nell’arte l’originalità, in definitiva (e in modo alquanto semplicistico) si riassume in una frase: “E allora perché non l’hai fatto tu?”. La pittura esiste da ben prima del lavoro a maglia, eppure non sono mancati i momenti in cui un artista ha fatto qualcosa di totalmente innovativo. La prima volta che Degas ha esposto “L’absinthe” sicuramente qualcuno è passato lì davanti e ha commentato “Ha ritratto solo due poveri ubriaconi in un caffè: questo lo sapevo fare anche io!”. Quando Van Gogh ha esposto “La notte stellata” sicuramente qualcuno ha commentato la sua pennellata dicendo “Manovra il pennello come una zappa, questo lo sapevo fare anche io”. Davanti alle “Demoiselles d’Avignon” di Picasso qualcuno avrà detto “Disegna come un bambino, questo lo sapevo fare anche io”, così hanno detto davanti ai tagli di Fontana, davanti agli “sgocciolamenti” di Pollock, davanti alle macchine inutili di Munari, davanti alle latte di zuppa Campbell’s di Warhol o ai graffiti di Keith Haring. La risposta che si da a chi afferma “Questo lo sapevo fare anche io” è invariabilmente “E perché non ci hai pensato tu a farlo?”.
Ma la maglia non è una forma d’arte, è artigianato. Anche la cucina è artigianato, eppure quando Ferran Adrià si è messo a decostruire i piatti trasfigurandoli è indubbio che abbia fatto qualcosa che non si era fatto in decine di migliaia di anni di storia della cucina (dal giorno in cui il primo preumano ha volontariamente messo un pezzo di carne sulle braci per cuocerlo). Non posso non riconoscere l’originalità dell’approccio di Adrià nemmeno a fronte del fatto che la sua idea di cucina per me è spazzatura: originale spazzatura. (Per contro, la prima volta che ho visto i tagli di Fontana al Museo del 900 ho sentito un brivido gelido salirmi dal coccige per perdersi tra le radici dei capelli come se fosse stata la mia stessa carne ad essere squarciata dalla lama dell’artista che annulla la differenza di tensione tra la superficie della tela e lo spazio circostante.)

Elizabeth Zimmermann per prima sosteneva che nella maglia nulla si inventa, si può solo “unventare”: reinventare quello che sicuramente è già stato inventato ma che è anche andato perso nella memoria. Al centro del lavoro di Elizabeth Zimmermann e Barbara G. Walker negli anni Sessanta e Settanta c’è la creazione della costruzione seamless (bottom up per Zimmermann e top down per Walker). Nulla di nuovo nel lavorare maglioni senza cuciture: la verità è che fino al 1800 i capospalla ai feri erano sempre lavorati così ed è solo da un paio di manciate di decenni che i maglioni si lavorano a pezzi cuciti. Quindi Zimmermann e Walker non hanno fatto nulla di nuovo, nulla di originale?

Eppure il loro approccio è perfettamente originale. Queste due designer hanno affrontato il tema della creazione di capospalla senza cuciture a partire dalla disponibilità di un nuovo strumento, il ferro circolare (che fino ad allora era stato usato soprattutto per le finiture) e con l’obiettivo di creare non solo modelli di singoli capi ma anche un metodo che pemettesse a chiunque di creare il proprio capo. Di maglioni lavorati in tondo ce n’erano stati infiniti, ma i metodi proposti dalle due designer erano totalmente nuovi come approccio e come deduzioni, per questo sono originali. E per questo i capi prodoti partendo da queste ricette possono essere capi originaloli, totalmente originali e uniche.
Poi c’è un altro significato del termine “originale” nella maglia, ovverosia è un capo originale qualsiasi capo che non è stato ottenuto dall’esecuzione di un modello bensì dal genio della persona che l’ha realizzato, basandosi su una ricetta “aperta” o su una competenza sviluppata nel tempo e che tuttavia non diventa a sua volta un modello.