Un corso all’università

Design della Maglieria
Design della Maglieria

Per chi come me non si è nemmeno laureata è un grande onore essere chiamata a collaborare con un’università. E non un’università qualunque bensì il Politecnico di Milano. Il professor Giovanni Maria Conti, con il laboratorio di design della maglieria, è un importantissimo motore del Dipartimento di Design, e da lui è partita l’iniziativa di creare un corso professionalizzante a livello universitario per il Design della Maglieria. Per insegnare, nel contesto di questo corso, uncinetto e maglia, il professor Conti ha pensato di chiamare Veruska e me. Il nostro ruolo sarà quindi quello delle specialiste nella creazione di capi a maglia e all’uncinetto. In questo ruolo, il mio compito non sarà solo quello di applicare i principi del design alla maglia a mano bensì cercare di far uscire gli studenti dai canoni che si sono costruiti e che continueranno (giustamente) a costruire nei corsi di maglieria, sfidandoli a lavorare con un maggiore spirito di improvvisazione (improvvisazione jazz e non a capocchia, appunto). Questo comunque nel rispetto dell’idea di una creazione di qualità, personalizzata e unica, come deve essere la creazione a maglia.

Il programma del corso
Il programma del corso (clicca per leggere)

Il corso di Design della Maglieria si articola in quattro unità (maglieria base, maglieria plus, maglia e uncinetto), più una serie di lezioni trasversali. Si rivolge soprattutto ai professionisti e ai tecnici che già lavorano nell’ambito della maglieria e, più in generale, a chi vuole migliorare in generale la qualità del proprio lavoro a maglia (a mano o a macchina), con la prospettiva di lavorare sia come freelance che presso aziende. Al termine del Corso verrà rilasciato un Attestato di Partecipazione al Corso di Alta Formazione in “Design della Maglieria” di POLI.design, Consorzio del Politecnico di Milano.

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4 commenti

  1. Wow che bello, devi essere molto fiera. Posso farti una domanda, solo per curiosità, tanto vivo nel sud e qui il massimo che sono riuscita a fare è insegnare “gratuitamente” in un knit cafè!!! Ma come ti hanno chiamata? Come lavoro crei per i giornali? Te lo chiedo perché ho conosciuto, tramite blog, una ragazza molto giovane che pubblica su Mani di Fata, e mi piace saperlo ogni volta che realizzo un suo modello. Ciao, buona lavoro.

    • Le riviste italiane io cerco di evitarle in ogni maniera possibile, anche la migliore (di quelle tradizionali) presenta modelli oltre che di norma orribili anche molto mal spiegati, impaginati e fotografati peggio e con un’assoluta banalità di tecniche; qualche speranza la nutro per una riista nuova di “mixed media”, “Peggy Magazine”, che però è solo al secondo numero. Io pubblico e vendo modelli prevalentemente tramite Ravelry, ovviamente in due lingue (italiano e inglese), ho pubblicato un libro per Altreconomia (Ai ferri corti), sono tra le fondatrici del sito Maglia-uncinetto.it, che è il principale sito indipendente di informazione sulla maglia in Italia, collaboro come freelance con filature italiane e straniere, oltre che con negozi. Questo l’ho ottenuto banalmente con anni di lavoro.
      Una cosa importante che tengo a sottolineare, invece, è che gli stitch and bitch non hanno insegnanti. Sono eventi totalmente orizzontali, degerarchizzati e privi di insegnante. Insegnare gratuitamente in un contesto come quello (e non, per esempio, in iun evento politico o solidaristico) non fa altro che fare un dumping inutile agli insegnanti professionisti che vivono di insegnamento e che si vedono preferire persone spesso meno preparate (spesso insifficientemente preparate!) che però lavorano gratis o quasi.

      • Perdonami ma l’ultimo pezzo proprio non l’ho capito! Il fatto che insegno gratis in un Knit è dannoso? I nostri incontri sono un modo anche per socializzare e riscoprire quella “sorellanza” che abbiamo dimenticato fra donne. Al mio Knit vengono signore, amiche, che vogliono imparare a tricottare perché sono rimaste sole, o stanno affrontando una brutta malattia ecc.ecc. In quanto all’essere poco preparate per anni ho fatto la magliaia di professione, e ho imparato a casa con mia madre che era sarta-ricamatrice e lei a sua volta ha imparato da sua madre e cosi via. Ho solo messo a servizio un mio sapere, e con risultati più che discreti, anche con la voglia che tutto quello che abbiamo imparato in generazioni non venga dimenticato. Quindi dà fastidio la gratuità? e la si denigra dicendo che siamo incapaci?

      • Nel mio ultimo commento ci sono due concetti diversi.

        Il primo è che uno sttich and bitch non ha insegnanti. Non è un corso, è un evento sociale in cui tutta la comunicazione è orizzontale. Non c’è insegnante designato, se l’insegmaneto è presente è socializzato a sua volta. Chi ha una competenza la mette a disposizione degli altri (degli e non delle, esattamente come parlerei di fratellanza e sorellanza, perch*é la maglia non la fanno solo le donne) e tutti coloro che intervengono hanno competenze da mettere a disposizione, allo stesso livello e alla stessa maniera.

        Il secondo è che sì: fornire una prestazione professionale a titolo gratuito (in modo routinario e non in modo occasionale e in contesti specifici come può essere un’azione di tipo politico-solidaristico) è di fatto tossico per il lavoro di tutti. Per il tuo lavoro perché quando inizi ad offrire lavoro gratuito allora nessuno mai ti pagherà per fare quel lavoro. Per il lavoro degli altri perché, appunto, inneschi un meccanismo di dumping che cala oltre il livello tollerabile il valore del lavoro altrui. Noi insegnanti professionisti lottiamo quotidianamente contro persone che come te, e ripeto spesso senza averle le competenze professionali, che offrono insegnamento gratuito e che vengono preferite dai negozio e dalle altre strutture per il semplice motivo che sono gratis anziché chiedere dei soldi.
        Non so se ricordi la campagna #coglioneno che, appunto, stigmatizzava la prestazione di lavoro a titolo gratuito e la conseguente richiesta di lavoro a titolo gratuito. O se conosci il concetto di moneta cattiva che scaccia la moneta buona. Ecco, chi insegna routinariamente a titolo gratuito è la moneta cattiva che rende tossico l’intero ambiente di lavoro di chi insegna professionalmente. E, per di più, accettando di lavorare gratis si gioca ogni possibilità di diventare un professionista svilendo la propria professionalità.

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